Corriere della Sera, Maurizio Lupi: «Sinistra divisa, Milano ferma. Il giudizio è negativo a prescindere dall’inchiesta»

Il leader di Noi Moderati: «Non chiederò mai le dimissioni di Giuseppe Sala solo perché ha ricevuto un avviso di garanzia, ma il punto non è questo»

Maurizio Lupi, leader di Noi moderati, cosa pensa di quello che sta succedendo a Milano? Lei è un milanese doc…
«Non voglio giudicare l’operato della magistratura. Il giudizio sull’azione della giunta di sinistra è negativo indipendentemente dall’inchiesta. Noi di centrodestra non siamo garantisti a corrente alternata».

Da quello che sta emergendo, in questa vicenda tra gli indagati c’è anche il sindaco Sala.
«Non chiederò mai le dimissioni di Giuseppe Sala solo perché ha ricevuto un avviso di garanzia. Ho troppa esperienza sulle spalle per sapere come vanno a finire tante di queste inchieste. Ma il punto non è questo».

Cosa intende dire?
«Sono rimasto a bocca aperta davanti all’atteggiamento di Sala sul “Salva Milano”. All’inizio, proprio per difendere il suo operato, ha chiesto l’intervento del Parlamento per una corretta interpretazione delle norme. Poi a fronte dell’inchiesta della magistratura ha fatto un passo indietro».

Secondo lei perché?

«Non mi voglio occupare delle inchieste. Non so nemmeno se c’è una correlazione tra l’inchiesta di questi giorni con quella del “Salva Milano”. Voglio dire che la sinistra è spaccata, al suo interno non condividono i progetti. E questo porta a una paralisi della città. Peggio, a un ritorno al passato».

A cosa si riferisce? Sta parlando dell’urbanistica o in generale della città?
«Mi riferisco al modello che è sempre stato il punto di forza di Milano, quello di collaborazione tra pubblico e privato. C’è il rischio che con questa inchiesta si abbandoni questo modello».

Ce l’ha con la magistratura?
«No, per paradosso non do la colpa alla magistratura. Do tutta la colpa alla giunta di sinistra. E, ripeto, il mio è un giudizio strettamente politico, nulla a che fare con l’inchiesta».

E qual è la parte più negativa del suo giudizio?
«Le contraddizioni dolorose che la giunta di centrosinistra ha riversato su Milano. Milano è una città che attrae capitali che portano ricchezza, produce il 5% del Pil, è sede dei grandi investimenti. Ma al tempo stesso è una città che espelle».

In che senso è una città che espelle?
«Oltre al resto, Milano è la capitale economica del Paese e ha bisogno di forza lavoro, dei giovani. Ma i prezzi delle case sono inarrivabili: duemila euro per un affitto, cinquemila al metro quadro per una casa non al centro, ma a Baggio. E chi vuole venire a lavorare a Milano è costretto ad andare a vivere fuori, anche a Novara, addirittura a Genova. Duecentomila studenti universitari, il 50% fuori sede e solo novemila alloggi. La sinistra ha fallito sul suo piano».

Quale sarebbe il piano?

«Il tema sociale, ovvero le periferie degradate, una città chiusa che pensa al tram e alle piste ciclabili e non a far muovere davvero i cittadini. Hanno parlato di “mobilità dolce”, ma che vuol dire? A me viene in mente mia madre che lavorava da operaia in un’industria dolciaria. La mobilità è u diritto per tutti, non è dolce. Adesso però la domanda è una sola».

Quale?
«Cosa vogliamo fare noi di centrodestra?».

Cosa volete fare?
«Intanto abbandonare la sindrome del torcicollo, guardarsi indietro e dire quanto siamo stati bravi quando governavamo. Io dal 1997 al 2001 sono stato assessore all’Urbanistica, mi battevo per la riqualificazione delle periferie e mi prendevano in giro, mi dicevano che volevo portare il Duomo a Baggio. Ma questo è il passato, ora si deve trovare una proposta di governo che possa portare Milano a guardare al futuro».

Ma lei vuole fare il sindaco di Milano?

«No. Voglio solo che il centrodestra lavori sui contenuti per convincere i milanesi che il nostro progetto è più credibile di quello del centrosinistra. In quindici anni non ci siamo riusciti. Farà il candidato sindaco la persona che riuscirà meglio a interpretare questo».

La sua è una risposta democristiana.
«So che non ci crederà ma non è una risposta democristiana».

Intervista al Corriere della Sera