Intervista “La Repubblica” all’On.Cavo:«La battaglia si fa se non diventa ideologica, senza cadere in divisioni e strumentalizzazioni»
“La lotta per le donne una battaglia di tutti, le piazze non siano divisive”
La deputata genovese di Noi Moderati spiega la posizione sul tema della maggioranza di centrodestra:
«È una battaglia trasversale, di tutti, che non deve e non può dividere, né cadere nell’ideologia o la strumentalizzazione: le risposte per curare il fenomeno sono tante, più ce ne sono, più passi avanti si fanno». Interviene così, Ilaria Cavo, già assessora alle Pari Opportunità in Regione Liguria e oggi deputata nel gruppo di Noi Moderati (eletta con Italia al Centro, la formazione politica di Giovanni Toti), nel dibattito sulla lotta alla violenza di genere di questi giorni.
Una risposta anche alle polemiche sull’organizzazione dei corsi di autodifesa per il 25 novembre in Regione e alla stoccate del centrosinistra nei confronti delle forze di governo, e dell’assenza di rappresentanti dei partiti del centrodestra nelle piazze oceaniche di questi giorni. «Erano piazze forti anche perché puramente civiche – spiega Cavo, che sabato ha partecipato all’evento di Wall of Dolls, una delle associazioni impegnate sul campo con cui da assessora aveva inaugurato il “muro delle bambole”, l’installazione contestata dalle manifestazioni genovesi di questi giorni – e c’erano tante iniziative utili a prendere parte alla stessa battaglia, in questi giorni, e tutte sono importanti».
Cosa ci dice, l’ondata di partecipazione di queste ore sul tema della violenza di genere?
«Il messaggio più chiaro l’ha mandato il presidente della Repubblica, nel chiamare a raccolta sul tema della violenza tutta la società, istituzioni, scuola, famiglie, imprenditori, il tessuto produttivo. Non c’è una risposta sola al problema, ce ne sono tante. Ci sono le leggi, e non per caso si è rafforzato la legge sul Codice Rosso all’unanimità, e c’è l’aspetto educativo. C’è la repressione, che può essere un deterrente importante, e la prevenzione. Ma da cambiare è un intero sistema, che si basa su tanti tipi di violenza nei confronti delle donne. C’è quella fisica, c’è ancora prima quella economica. Ed è da lì che si deve partire».
Da dove?
«Il 37 per cento delle donne italiane non hanno un conto corrente bancario, e il 65 per cento delle donne che si rivolgono ai centri anti violenza non ha una pensione, e penso sia pazzesco. Ecco perché serve iniziare dalla violenza economica, dal lavorare sull’indipendenza economica delle donne. Il fenomeno della violenza sulle donne si contrasta educando a scuola, in famiglia, sul lavoro, ma anche formando le donne, dando loro la possibilità di essere autonome. La sfida sta soprattutto qua».
E come risponde, alle (timide, va detto) polemiche sulla presenza del centrodestra in piazza?
«Io non voglio cadere nella polemica, si rischia di finire in quello spazio di violenza verbale che è esattamente quello che si vorrebbe condannare. La battaglia si fa se non diventa ideologica, senza cadere in divisioni e strumentalizzazioni. Ognuno in questi giorni ci ha messo la faccia, facendo ognuno la propria scelta, ognuno ha la sua sensibilità sul tema. E poi, pensando alle piazze di questi giorni, penso la forza sia proprio quella civica, perché questo tema non può essere di parte o di una parte. È di tutte e di tutti e trasversale, come ha detto Mattarella».
Sul rafforzamento del Codice Rosso c’è stato il dialogo tra maggioranza e opposizioni, in Parlamento, su altro un po’ meno. Come si spiega la bocciatura dell’emendamento del Pd da 70 milioni per la prevenzione in Manovra?
«In Finanziaria ci sono 50 milioni per centri anti violenza, reddito di libertà, sono appena arrivate sui territori».
La soluzione passa anche dalla proposta di lezioni di affettività e gestione dei rapporti nelle scuole, come si propone con insistenza da sinistra?
«Nelle scuole va insegnata la cultura della parità di genere e del rispetto, ma non penso per forza in ore dedicate: la scuola ha tutti gli strumenti, e gli insegnanti hanno capacità, possono educare anche insegnando storia o inglese, non si può caricare tutto sulle lore spalle con un’ora in più di programma».
La premier Meloni è la prima donna a guidare un governo, ma le si contesta una certa mancanza di attenzione nei confronti delle donne. Da Opzione donna all’Iva sui prodotti femminili, il suo governo viene considerato “non femminista”. Come la difende?
«Dicendo la verità, che questo governo già dalla scorsa Finanziaria ha puntato tanto sul sostegno alle famiglie e soprattutto alle famiglie più fragili, e quindi alle donne. Se il problema è il modo in cui ha deciso di farsi chiamare, se la presidente o il presidente, anche io mi facevo chiamare assessore, quando ero in Regione, e non assessora. Non c’è bisogno di distinguo, la parità si ottiene proprio se non ne hai.